FALLACIE ARTISTICHE
SFUMATURE DI RETICENZA (BUGIARDI SILENZIOSI) 2008
Due artisti con cui ho avuto modo di operare anni fa, hanno attribuito a se stessi l'ideazione di opere della mia serie intitolata Fallacie Artistiche. Pur riconoscendo ad entrambi indubbie competenze tecniche nell'ambito soprattutto dell'esecuzione manuale grafica, in realtà mancano di abilità riflessiva e di capacità di astrazione necessarie per generare autonomamente determinate idee. Si tratta di una distinzione che ritengo fondamentale, in ambito artistico e non: l'abilità esecutiva, in effetti, per quanto raffinata, precisa o impeccabile, non sempre implica la capacità di concepire specifiche strutture concettuali. Al di là dell'aspetto legale, attraverso il quale potrei effettivamente accanirmi verso i due malandrini in questione, ma non me ne frega nulla, quello che, da artista, mi genera fastidio, come nel caso del mia lavoro "Sfumature di Reticenza" (Bugiardi Silenziosi) è che, come accade quasi inevitabilmente, in caso di appropriazione indebita di un'idea, c'è il rischio che ne vengano alterati poetica o significato, se le persone si attribuiscono autorialità senza però di un'opera saperne esporre tutti gli aspetti insiti. Dispongo, fin dagli anni Novanta, di un archivio costituito da materiale fotografico e video che testimonia ogni fase di lavorazione, dall'ideazione fino alla realizzazione di qualsiasi mio pezzo artistico. Va infine sottolineato come il mio particolare impiego di pigmenti e materiali, di difficile reperibilità, costituisca una sorta di impronta digitale riconoscibile del mio operato artistico. Infine, familiari, amici e conoscenti hanno potuto osservare l'evoluzione di tali lavori nel loro contesto di creazione, sia esposti alle pareti del mio studio o della mia abitazione, sia collocati su mobili o piedistalli, anni prima che venissero indebitamente rivendicate da terzi in quanto a creazione.
Essere artisti oggi significa operare in un contesto in cui l’arte ha già esplorato, in ogni sua forma, le relazioni tra oggetto, immagine e pensiero. Le Fallacie Artistiche si inseriscono consapevolmente in questa tradizione, estendendola attraverso l’uso dell’errore deliberato come strumento per interrogare la rappresentazione e la percezione. Il paradosso visivo diventa così un mezzo per scardinare certezze, mostrando come l’errore possa rivelarsi una chiave di lettura critica della realtà. Se l’arte concettuale ha posto al centro il rapporto tra oggetto e definizione, Le Fallacie Artistiche aggiungono la dimensione dell’anomalia intenzionale, sovvertendo le regole senza però rivendicare alcuna originalità assoluta, bensì dialogando con un’eredità consolidata. Un esempio di questo approccio è il personaggio di Reticenza, il cui naso, spostato sulla nuca, diventa metafora dell’omissione consapevole. A differenza di Pinocchio, che rappresenta l’inganno esplicito, Reticenza incarna la reticenza come strategia sociale accettata: non mente apertamente, ma nasconde, sfuggendo così alle reazioni immediate che una menzogna susciterebbe. La posizione nascosta del naso riflette il modo in cui certe verità si celano dietro il silenzio calcolato, sfuggendo all’attenzione proprio come gli elementi visivi nascosti in un’opera d’arte si rivelano solo a un osservatore attento. Il riferimento a Pinocchio non è casuale: la scelta di un’icona culturale i cui diritti sono decaduti consente di operare liberamente nella sua decostruzione semiotica, riallacciandosi a pratiche artistiche consolidate. L’uso di materiali comuni e riciclati sottolinea inoltre la volontà di lavorare con ciò che già esiste, trasformandolo in una riflessione visiva sulla percezione e sul significato. La possibilità di rappresentare la prole di Pinocchio e Reticenza, ad esempio con una bocca assente o due nasi, estenderebbe questa riflessione alla natura ambigua della verità, evidenziando come essa non sia mai assoluta, ma sempre soggetta a manipolazione e interpretazione. Infine, Le Fallacie Artistiche non si limitano a un discorso puramente formale, ma introducono una dimensione relazionale: l’errore pianificato non è solo un elemento visivo, ma un meccanismo che coinvolge lo spettatore, trasformandolo in interprete attivo dell’opera. Il paradosso non è fine a sé stesso, ma diventa un dispositivo che costringe il pubblico a riconsiderare le proprie aspettative, rendendo il processo di decifrazione parte integrante dell’esperienza artistica.
L'origine della mia serie principale, Fallacie Artistiche, risale al 2008 con un esperimento intitolato "Sfumature di Reticenza" (Bugiardi Silenziosi), eseguito sbrigativamente. L'opera è emersa dall'utilizzo di due elementi lignei, modellati attraverso un'abbondante applicazione di tempera, non tanto per aggiungere colore quanto per plasmare rapidamente le figure. Spunto iniziale sono le fallacie della logica, argomento di mio interesse fin dagli anni novanta, che nel campo dell'argomentazione rappresentano deviazioni dal ragionamento razionale, spesso manifestandosi come trappole nate dall'ingenuità o strategie manipolative deliberate.
Tuttavia, nei miei lavori, gli "errori" grafici o concettuali non sono mai accidentali ma accuratamente orchestrati, sostenuti da una logica interna che si rivela solo attraverso un'analisi meticolosa delle loro implicazioni sottostanti. Ogni apparente errore risulta da una scelta deliberata volta a creare un calcolato senso di disorientamento. Per evocare l'illusione di un'opera difettosa, talvolta impiego elementi visivi inaspettati, come combinazioni cromatiche percepite come discordanti o inquietanti.
Nel 2008, ho concepito il personaggio Reticenza spostando il naso dal viso alla nuca. Nelle mie rappresentazioni, Pinocchio appare spesso visibilmente a disagio, mentre Reticenza mostra una disinvolta compostezza, suggerendo sottilmente che l'omissione, a differenza dell'inganno esplicito, è più facilmente accettata all'interno delle convenzioni sociali. L'insolita collocazione del naso, nascosto alla vista frontale, permette a Reticenza di celare l'inganno, proprio come il silenzio calcolato o il parlare misurato di un individuo reticente nasconde le sue vere intenzioni. Presentandosi frontalmente, Reticenza impedisce che il naso, simbolo dell'inganno, sia visibile, adempiendo così alla sua funzione reticente.
A differenza delle menzogne, che provocano reazioni immediate e spesso negative, la reticenza tende a sfuggire allo scrutinio critico anche quando è ovvia, proprio come gli elementi nascosti in un'opera d'arte rivelano il loro significato solo attraverso un'attenta osservazione. La gestione deliberata dell'assenza e del non detto diventa così una strategia raffinata per controllare la verità, sia nell'espressione artistica che nel discorso sociale. Nell'eventualità di realizzare una scultura che rappresenti l'ipotetica prole di Pinocchio e Reticenza, potrei rappresentarla con una bocca assente, riconoscendo che la reticenza non implica necessariamente il silenzio. In alternativa, potrei scolpire una figura con due nasi, evidenziando l'ambiguità intrinseca della verità e la sua inevitabile manipolazione.
Consapevolmente o no, essendo noi artisti in attività quando l'arte nei millenni sembra già oramai aver proposto il possibile, sia a livello concettuale che grafico, ci sentiamo quasi in dovere di inserire ogni nostro progetto all'interno di una possibile tradizione artistica che abbia già in qualche modo esplorato le relazioni tra l'oggetto artistico, la rispettiva grafica e il pensiero attinente. Questo mio lavoro richiama immediatamente appunto la relazione tra oggetto e sua rappresentazione concettuale, creando una sorta di paradosso visivo (l'errore elaborato) che mette in discussione la percezione della realtà. Le Fallacie Artistiche propongono spesso una riflessione sulla natura stessa della rappresentazione.
Possiamo individuare nella mia idea connessioni con l'arte concettuale, dove la relazione tra oggetto, immagine e definizione diventa il fulcro dell'opera. Le Fallacie Artistiche estendono questa indagine, aggiungendo la dimensione dell'errore deliberato come strumento epistemologico. Sfrutto a volte il paradosso o la contraddizione per scardinare le convenzioni artistiche, ma non posso certo ritenermi il precursore di determinate linee. Le Fallacie Artistiche, con il loro deliberato inserimento di errori, diciamo, partecipano e volentieri, a quella che comunque è una tradizione e proprio perché in quanto tale è aspetto assodato. Anche riguardo la sovversione delle norme rappresentative, non posso dire di esserne un pioniere. Ho concepito il personaggio Reticenza spostando il naso dal viso alla nuca. Nelle mie rappresentazioni, Pinocchio appare spesso visibilmente a disagio, mentre Reticenza mostra una disinvolta compostezza, suggerendo che l'omissione, a differenza dell'inganno esplicito, è più facilmente accettata all'interno delle convenzioni sociali. L'insolita collocazione del naso, nascosto alla vista frontale, permette a Reticenza di celare l'inganno, proprio come il silenzio calcolato di un individuo reticente nasconde le sue vere intenzioni. A differenza delle menzogne, che provocano reazioni immediate, la reticenza tende a sfuggire allo scrutinio critico anche quando è ovvia, proprio come gli elementi nascosti in un'opera d'arte rivelano il loro significato solo attraverso un'attenta osservazione. La gestione deliberata dell'assenza diventa così una strategia raffinata per controllare la verità, sia nell'espressione artistica che nel discorso sociale. L'utilizzo di Pinocchio come soggetto di base, selezionato tra vari personaggi noti valutati per elaborare le mie Fallacie Artistiche, per via dei diritti d'autore scaduti, mi ha permesso inoltre di presentare un'opera caratterizzata da uno dei punti fondamentali del mio operare in arte, ossia quello di presentare pezzi realizzati con materiali riciclati e comuni, mentre l'approccio semiotico al personaggio di Collodi richiama le operazioni di decostruzione simbolica, altro ambito saldamente consolidato da artisti d'altra epoca, operanti ben prima di me. La pratica stessa di incorporare oggetti quotidiani ed elementi della cultura popolare in opere che sfidano le categorizzazioni tradizionali o ricontestualizzare un'icona culturale per creare nuovi significati, ha già avuto ampio spazio nella storia dell'arte. Nell'eventualità di realizzare una scultura che rappresenti l'ipotetica prole di Pinocchio e Reticenza, potrei rappresentarla con una bocca assente, riconoscendo che la reticenza non implica necessariamente il silenzio. In alternativa, potrei scolpire una figura con due nasi, evidenziando l'ambiguità intrinseca della verità e la sua inevitabile manipolazione. Infine, la dimensione performativa dell'errore pianificato dialoga con le pratiche dell'arte relazionale contemporanea, dove la partecipazione dello spettatore nel decifrare il paradosso diventa parte integrante dell'opera stessa, trasformando il fruitore da passivo osservatore a attivo interprete delle fallacie presentate.
That morning I woke up with something else on my mind. But the feeling of surprise and curiosity definitely outweighed my commitments, which I decided to put off. For the first time, after almost a year of testing, one of my paintings, created with autonomously variable colored minerals, changed during the night, without any chemical or electrical tricks. The stain, a dark earthy orange, transformed into a lighter and brighter orange hue. It wasn't just a different shade, but a true chromatic metamorphosis that gave the painting a new look. The new color was revealed, overshadowing the previous one in a random harmony. There were already objects capable of changing color thanks to chemical reactions, but not with my method. A neighbor, a chemist by profession, had been an art buddy for months, showing me how I could hypothetically achieve such results. Then I took pictures and made notes. I already imagined new works and new experiments.
La classica moka italiana degli anni Settanta era un oggetto familiare, al di là della sua utilità. Resistente, ma non infallibile. Corpo in alluminio, linee essenziali, e quel borbottio ritmico che più o meno tutti abbiamo memorizzato a vita. Ma il destino di alcune caffettiere poteva essere segnato da una possibile distrazione: dimenticate sul fornello acceso, surriscaldate fino al limite, subivano una metamorfosi impreviste e irreversibile. Il fondo annerito, il caffè evaporato in una fumata densa e acre, il manico, un tempo saldo, ridotto a una massa deforme o quasi del tutto assente. Perché il calore eccessivo non perdonava: la plastica si arrendeva, si incurvava, si fendeva, lasciando la moka orfana di quel dettaglio indispensabile. Eppure, anche senza manico, certe caffettiere continuavano a essere usate, avvolte in uno straccio, impugnate con precauzione, testimoni di una resistenza testarda che sfidava logica e sicurezza.
SHADES OF RETICENCE
The origin of my main series, Artistic Fallacies, dates back to 2008, when I hastily carried out an experiment titled Shades of Reticence (Silent Lies). The work emerged from the use of two wooden elements, which I shaped with an abundance of tempera paint applied not so much to add color, but rather to quickly mold the figures. In the realm of argumentation, fallacies represent deviations from the parameters of rational reasoning, often taking the form of traps born of naivety or deliberate manipulative strategies used in social interactions. However, the graphic or conceptual “errors” within my works are never accidental; they are carefully orchestrated and supported by an internal logic that reveals itself through a meticulous analysis of their underlying implications. Every appearance of an error is, in fact, the result of a deliberate choice and precise planning aimed at inducing a calculated sense of disorientation. To evoke the illusion of a flawed work, I sometimes employ deliberately unexpected visual elements, such as color combinations traditionally perceived as discordant or unsettling. In 2008, I conceived the character Reticence by relocating the nose from the face to the nape of the neck. In my representations, Pinocchio often appears visibly uncomfortable, while Reticence displays an effortless composure, subtly suggesting that omission, unlike explicit deception, is more readily accepted within social conventions. The unusual placement of the nose hidden from a frontal view—allows Reticence to conceal deception, much like the calculated silence or measured speech of a reticent individual obscures their true intentions. By presenting himself frontally, Reticence deliberately conceals the truth, preventing the nose symbol of deceit from being visible in its reticent function. Unlike lies, which often provoke immediate and negative reactions, reticence tends to escape critical scrutiny, even when it is obvious just as hidden elements in a work of art only reveal their meaning through careful observation. The deliberate management of absence and the unsaid, both in artistic expression and social discourse, thus becomes a refined strategy for controlling the truth. If I were to create a sculpture depicting the hypothetical offspring of Pinocchio and Reticence, I might represent them with an absent mouth acknowledging that reticence does not necessarily imply silence. Alternatively, I could sculpt a figure with two noses, highlighting the intrinsic ambiguity of truth and its inevitable manipulation.
ACHROMATOPSIA
At times, I have created works that, to an observer lacking foundational knowledge, might have appeared confusing or devoid of meaning. This initial ambiguity, a classic element in art, has often paradoxically served as a gateway for truly curious viewers to engage more deeply. A significant aspect of my artistic practice has focused on visual pathologies and anomalies, a theme I have explored through graphic elaborations and conceptual experiments. Achromatopsia, a condition defined by the absence of color perception, has presented me with an unexpected artistic challenge and opportunity. Working solely with light, white, black, and shades of gray, I have sought to uncover an essential expressive space where light intensity and tonal variation become primary creative tools. In this context, contrasts have taken on a central role, compensating for the absence of colors imperceptible to someone with achromatic vision. Through the use of materials that emphasize texture, grain, and optical weight, I have sought to create a visual stratification that enhances depth and complexity. The absence of color compels a reevaluation of visual hierarchy, shifting the focus toward balance, rhythmic structure, and the interplay of light and shadow. Paradoxically, this subtraction of color has expanded my perceptual range: what initially seems like a limitation reveals itself as a boundless source of possibilities. Absence becomes presence, emptiness transforms into a generative space, and shadow evolves from a mere margin to a foundational element of composition. Working without color demands heightened awareness of boundaries, transforming them from static barriers into dynamic thresholds. In this framework, depth is no longer defined by chromatic perspective but rather by the tension between light and matter, between emergence and dissolution. The absence of color also challenges conventional perceptual norms, encouraging viewers to reconsider their interpretations of reality. This approach not only honors those who experience the world through achromatic perception but also invites all viewers to rediscover the richness of non-color as an autonomous and powerful creative dimension.
In the early years of my artistic career, I had the good fortune to collaborate with a talented and visionary colleague, who is sadly no longer with us. During a summer break, we jointly developed a rather unusual artistic approach, based on the assembly of objects and children's toys, sourced from chocolate egg surprises and packaging from snacks and food products for children. Our idea was to transform those common objects, generally considered of little value, into genuine works of art. We were both fascinated by our innate ability to evoke childhood memories in our dialogues: the research was perfectly in tune with the recollection of the years when, as kids, we were the ones desiring the surprises. We had begun a crazy and fun collection of the little toys and often went to supermarkets, flea markets, or various acquaintances of ours, trying to find pieces to assemble. Then we would meet every morning, in our shared studio, with the objects we had each collected. And we would combine them together, creating compositions without any precise rules. It was the ensemble of objects that suggested a concept or a composition to us. Sometimes, we ourselves modified the original objects, painting them with colors more suited to the artwork. Our goal was to create artistic works that were at once nostalgic and playful. We were not interested in the final result and, all in all, our approach was ironic, perhaps even provocative. Our sensitivity was essentially directed towards the imagination, evoked by the artistic pieces.