PERFORMANCE
My artistic performances emerge from projects developed over days or weeks, brought to life through selfies and homemade videos. They offer a perspective on how personal creativity can thrive within a domestic setting, with looks and objects selected and re-evaluated day by day. I transform every corner of my home into a small stage, a playful microcosm infused with a scenographic identity largely shaped by my own madness. This performative approach grants me the opportunity to express myself fully, with autonomy and freedom. Free from the immediate pressure of a live show, I find I can give my best in the silent dialogue between myself and my thoughts. I do not chase visual sophistication, though at times it seems to manifest as if by its own conscious will. Instead, whenever the impulse arises, I pursue what complexity I have kept hidden in the folds of my past until today.
MY WIGS
My fascination with wigs began in the early 1990s. While working at a bar, I met a woman who invited me to her home. One room stood out, filled with mannequin heads adorned with various wigs. I was instantly captivated. She crafted them on commission, using real hair, and that image lingered vividly in my mind. Around that time, I often listened to songs by a singer from the group Paradisio. One day, I saw her on television wearing a striking, chin-length blue wig that suited her perfectly. I thought to myself that if I ever came across a similar one, I’d buy it. Years later, in a shop, I found exactly what I had envisioned bright, colorful wigs, including one nearly identical to the one I remembered. I bought it and wore it, taking photos that revealed a surprisingly transformed version of myself. It was liberating and fun. I soon bought another one, this time orange, and continued experimenting with new styles and colors. Over time, my collection grew. I discovered even more wigs through online stores, ordering bold, unconventional designs that soon became integral to my artistic performances. These wigs are far more than mere accessories; they are instruments of metamorphosis, turning each performance into an act of self-reinvention. Their shapes and textures form a visual language one that reveals facets of myself I didn’t even know existed. When I step in front of the camera, I become both photographer and subject. Every shot captures a fragment of truth, cleverly disguised in artifice. Each day, I have the freedom to decide who I want to be, how I see myself, and how I present that vision to the world. My performances are ever changing narratives, where every wig, every expression, and every interpretation adds a new layer to the story. This ongoing process doesn’t just deepen my self awareness it’s also a celebration of fluid identity and the endless possibilities born of imagination.
Mi avvalgo dell'ausilio di brevi video girati in casa, come strumento per affinare ogni aspetto delle pose. Filmarmi, non solo mi permette di conservare ricordi, ma anche di analizzare dettagli e valutare cosa può essere adatto alle mie idee. Scopro inoltre pose che non avevo considerato, ampliando il mio repertorio espressivo. La sequenza visiva mi aiuta a interiorizzare le pose più riuscite, in modo da poterle riprodurre con maggior facilità.
Mi piace sperimentare con parrucche di vari colori e la mia identità fotografica, frequentemente riprodotta è anche una gratificante strategia visiva per verificare la mia folle autenticità. La mia immaginazione attraversa e conquista i miei mondi personali, come fossi un'esploratrice avventurosa e audace che integra concetti pratici a fantasia estrema. Un po' io indosso le parrucche, un po' loro indossano me. Ed è un piacevole valorizzarsi reciproco.
Mi perdo nel labirinto delle trasformazioni, alterando la mia identità fisica. Ogni performance è un viaggio senza mappa nel territorio delle metamorfosi. Ogni colore ha un linguaggio proprio. Indossare una parrucca colorata è come indossare una maschera che ci permette di interpretare ruoli diversi, di sperimentare nuove identità e di scoprire sfaccettature inaspettate di noi stessi.
Se fossi la fata Turchina trascinerei Pinocchio con me nel mio contesto d'incanto. Renderei virali dei selfie anche nel mondo delle fiabe, grazie a un'esposizione fotografica d'arte interdimensionale. Sono una fata al passo con i tempi. E nelle immagini voglio pure non manchi il Grillo Parlante, che si intromette con commenti sagaci. Tutti e tre insieme potremmo metterci alla ricerca della sorella di Pinocchio, Reticenza, per realizzare il miglior selfie di gruppo che sia mai stato ideato in un racconto.
Le mie performance, quando sembrano aver raggiunto l'apice del loro sviluppo, superano quasi a mia insaputa loro stesse, come se io fossi impegnata in un processo artistico evolutivo senza sosta. Io sono la fotografa e il soggetto dei miei progetti e in quante Erica posso trasformarmi, non lo so. Esplorando gli aspetti della mia immaginazione, vivo un'evoluzione personale alimentata dalla curiosità.
METAMORFOSI ARTISTICHE E INTROSPEZIONE LUDICA
Indosso accessori,che assemblati possono conferirmi svariate modalità di look, trasformando il mio aspetto esteriore, mentre mi diverto ad assistere alle mie metamorfosi. La mia audacia, giocosa e stilistica è rimasta silente dentro di me per molti anni, per emergere a un certo punto della mia vita con intensità. Mi dedico a selfie imprevedibili, adornata con colori e oggetti sorprendenti, narrando la mia innata natura di performer imprevedibile. La capacità di trasformarmi liberamente, mi permette di esprimermi in un processo continuo di scoperta e ridefinizione del mio io, e di giocare tra una performance e l'altra a creare dei mix tra arte e plasticità. Gradisco trasmettere qualsiasi emozione attraverso il mio corpo e le sue espressioni, senza però voler generare malintesi che possano essere correlati ad aspetti non artistici. Dedico le attività fotografiche all'analisi delle mie espressioni facciali, oppure a ipotetiche sfumature psicologiche, permettendomi di percepire nelle immagini i miei elementi emotivi. Il mio approccio ai selfie va ben oltre la documentazione dell'aspetto esteriore, offrendomi numerose possibilità di prendere confidenza con l'intimamente introspettivo. Non inseguo ossessivamente il controllo completo riguardo a tecniche, regole diffuse, posture, tecniche, luci e ombre, pur essendo sempre attenta a generare materiale adatto a perfezionare i miei progetti artistici.
Tra le siepi, posata su un fiore di campo, c’era una farfalla. Le sue ali erano di un bianco candido, ma qualcuno l’aveva fatta macchiare di sezioni irregolari arancioni. Così era era divenuta diversa dalle altre farfalle della sua specie. Eppure si è innescato un qualcosa di importante. L'influenza che avrebbe avuto sul colpevole delle sue macchie irregolari. Che da quel giorno, ai suoi occhi e nelle sua arte, l'ha resa immortale.
Apprezzando le linee del proprio corpo, senza celebrare eccessivamente una sua possibile unicità, non ci si lascia attrarre dall'idea di doversi conformare a standard tipici, Scelgo di vestirmi di me stessa, prima ancora che di abiti. Ma è altrettanto il piacere di indossare ciò che mi fa sentire a mio agio. Esistono un aspetto estetico e una sicurezza interiore, che risiedono nella fiducia in se stessi e nella scelta personale di poter essere autentici e nel voler di piacere da autentici.
Soffiando per creare bolle di sapone, soffio pure un po' sulla nostalgia. Si formano di svariate dimensioni per sfuggire immediatamente in ogni direzione della stanza, mentre sorrido e mi perdo nelle loro sfumature riflettenti. Sfere trasparenti e iridescenti che a volte vorrei far scoppiare con un bacio. Le attendo immobile e silenziosa, mentre osservo la loro breve vita, ammirandone incantata i riflessi multicolori che a volte sembrano danzare sulla superficie.
Ho preso il mio vecchio burattino di legno, un regalo importante e l'ho posizionato insieme a me davanti all'obiettivo. Ho iniziato a sperimentare con diverse angolazioni, luci e sfondi, cercando di catturare l'essenza del mio e del suo mondo. Si è rivelato un modello perfetto. Si è ritrovato sospeso nel vuoto, da me sostenuto. Lo ringrazio per la sua collaborazione artistica.
Il rossetto. Metà si e meta no. Oppure di un colore diverso per labbro. Ma perché mi trucco? E io con un sorriso e dell'ironia inizio il mio personale gioco di prestigio linguistico. Chissà, forse con il trucco, dipingo i miei pensieri, le mie emozioni. Non ricordo se ho un motivo per truccarmi. Forse è un modo per trasformare la mia pelle in una tela. In realtà lo so perché mi trucco, ma è un segreto. Diciamo che mi piace giocare con i colori. Ecco, dev'essere quello il motivo.
Il processo di creazione di questi autoritratti fotografici è per me, allo stesso tempo, un gioco divertente e una seria, deliberata esplorazione, attraverso la quale ho imparato ad amare e apprezzare ulteriormente il mio viso e il mio corpo. Ogni posa è anche un modo diretto e immediato per archiviare prove di chi sono, Le parrucche hanno aggiunto tante me stessa che senza di loro forse cercherei ancora.
Potrei giocare a essere un'entità digitale intrappolata in un corpo di pixel, che si diverte a cercare di sfuggire alla luce. In una stanza di casa mia, convertita per qualche minuto in un palcoscenico cromatico, le mie forme mutano e i punti di luce scolpiscono il mio volto con sfumature e contrasti. Lascio all'improvvisazione delle luminosità orientate il compito di plasmare i miei contorni, quanto la mia immaginazione.
Potrei giocare a essere un'entità digitale intrappolata in un corpo di pixel, che si diverte a cercare di sfuggire alla luce. In una stanza di casa mia, convertita per qualche minuto in un palcoscenico cromatico, le mie forme mutano e le spade e i punti di luce scolpiscono il mio volto con sfumature e contrasti. Lascio all'improvvisazione delle luci il compito di plasmare i miei contorni, quanto la mia immaginazione.
Dalla mia trasversalità creativa nascono i fotogrammi che pubblico: attimi fugaci, fotografie che cristallizzano l'istante, fissando la fluidità di ogni trasformazione in un'icona visiva. È qui che il privato diventa pubblico, attraverso queste mostre personali, in una danza costante tra il domestico e il virtuale.
Una fonte luminosa è tradizionalmente simbolo di illuminazione e dà senso della posizione in un luogo altrimenti buio. Al contrario, in questa mia performance mi sono posizionata a osservare, forse di di nascosto. Attraverso le fessure imposte dall'architettura in cartaceo che ho conferito a una mia creazione artistica, rappresento una dimensione ignota dalla quale guardare senza essere vista. Mi diverto a lasciarmi intuire, per poi uscire allo scoperto. Non lascio alla luce il ruolo cruciale nella definizione dell'atmosfera, in quanto io stessa la rendo indecifrabile.
Affrontando per gioco una mia fobia, ne ho preso le distanze, osservandola da una insolita prospettiva. Un metodo divertente per superare certi timori, conquistandone temporaneamente il controllo. Ho coinvolto un ragno finto, interagendo con lui in modo diretto, e familiarizzare gradualmente con un simbolo della mia paura, toccandolo e osservandone le forme e i colori, senza sentirmi minacciata, ha rappresentato un gesto simbolico per esorcizzare una mia radicata vulnerabilità di fondo verso la categoria degli aracnidi.
L'epoca è all'insegna del fast fashion e le tendenze si susseguono a un ritmo vertiginoso. Un capo d'abbigliamento vintage, di famiglia, assume maggiormente un valore sentimentale inestimabile e custodisce e tramanda ricordi, simboli eleganza e qualità scomparse. Ogni dettaglio racconta una storia, un momento della vita di chi lo ha indossato prima di me. Indossarlo è come avvolgersi in un abbraccio alle proprie radici.
Un foulard racchiude ogni esigenza della versatilità. È un passepartout tessile che sa essere straccio o eleganza. Un accessorio che riveste funzionalità varie e che non tramonta nemmeno quando le mode decidono di ignorarlo.
La mia immaginazione si addentra nelle profondità dei miei mondi interiori, dove ogni confine tra realtà e fantasia si dissolve, come se le due dimensioni si fondessero in un'unica esperienza sensoriale. È in questi spazi che amo reinventarmi, attingendo sia agli elementi concreti e ordinari della vita quotidiana, sia alle mie visioni più surreali.
Una creazione artistica può rivelarsi un regno in cui infrangere la barriera della consuetudine. Anche gli accessori, ragionati o trovati curiosando in un negozio, possono rendere la propria normalità più bizzarra di qualsiasi forma di eccentricità. Non si tratta semplicemente di indossare o esibire oggetti curiosi, ma di fare propri degli articoli che si fondano visivamente e armoniosamente con ogni altro dettaglio, amplificandone il messaggio o il mistero che gravita attorno a un sottinteso. È un lasciarsi guidare dall'istinto o dal senso dell'umorismo, sfidando il fai da te espressivo.
Per realizzare semplici selfie o elaborate pose artistiche, utilizzo gli interni della mia abitazione come set fotografico. Con sfondi, scenografie, parrucche e look studiati o improvvisati, mi diverto a immortalare in immagini i momenti più espressivi e spontanei di me stessa tra le mura domestiche. Ma se mi sento particolarmente ispirata, mi reco in location alternative o insolite per tali pratiche, ben differenti per contesto dalle stanze del mio appartamento. Posso scegliere qualsiasi luogo che si presti alle mie pose e che stimoli la mia creatività.
Persino le luci artificiali, a volte, si ergono a co-autrici delle mie opere, dipingendomi virtualmente con i loro fasci luminosi. Una tavolozza di intensità variabili, pennellate di luce che trasformano l'ambiente circostante in un set surreale. Talvolta, riflessi cangianti danzano nei miei occhi, aggiungendo profondità e mistero alle mie espressioni, quasi a rivelare idealmente una possibile voluta espressione stessa della luce che mi avvolge.
Le mie trasformazioni non nascono da una ricerca puramente estetica, ma sono l'espressione di una spinta alla metamorfosi che mi consente di svelare le molteplici sfaccettature della mia identità. Parrucche dai colori inattesi, trucco audace e accessori eccentrici, sono alleati essenziali nell'espressione performativa che intraprendo ogni volta, come se fossero chiavi per sbloccare nuove versioni di me stessa.
Mi sono calata nei panni di un distinto e misterioso gentiluomo, con cappello, baffi e bastone. Un’interpretazione di un ruolo che assumo volentieri. A baffi, cappello e bastone ho lasciato il compito di assecondarmi; non sono accessori, ma protagonisti assoluti della coreografia visiva, ottima per sfidare l’immobilità di un fotogramma.
The sweet joy of happiness captured in a colorful sphere, set atop a plastic-coated stick, like a jewel crowning a scepter on a white stem. A delightful surprise wrapped in a crinkly, stubborn paper, waiting to be unwrapped. A sticky ritual of childhood that, once we become adults, fills us with an intense taste of nostalgia. A slow indulgence to be rotated between the lips, tempting us to bite and dissect. The sphere, steadily worn down by tongue and palate, eventually detaches from the stick, magically transforming into a candy to be savored until the very end.
The sweet joy of happiness captured in a colorful sphere, set atop a plastic coated stick, like a jewel crowning a scepter on a white stem. A delightful surprise wrapped in a crinkly, stubborn paper, waiting to be unwrapped. A sticky ritual of childhood that, once we become adults, fills us with an intense taste of nostalgia. A slow indulgence to be rotated between the lips, tempting us to bite and dissect. The sphere, steadily worn down by tongue and palate, eventually detaches from the stick, magically transforming into a candy to be savored until the very end.
Ero agli esordi con il selfie artistico. Non avevo ancora il tatuaggio. Fotografia e performance si apprestavano a diventare i miei principali strumenti principali per l'espressione introspettiva. Per me, rappresentavano una nuova tecnica per dare forma alla mio comunicare artistico. Il mio corpo non era più solo un soggetto da ritrarre, ma un supporto per la mia opere d'arte stessa. Le farfalle arancioni in questa performance sono state sia il soggetto che l'elemento concettuale chiave. Si arrampicano sul mio corpo. Lo attraversano. Le farfalle sulla mia pelle, quale estensione implicita della mia trasformazione radicale e definitiva. Anch'io avevo bisogno di ali. Le avevo perdute anni prima. E le farfalle me ne hanno donate di nuove, permettendomi di riprendere il volo.
Un palloncino sfuggito improvvisamente al mio controllo durante l'infanzia e volato chissà dove, nonostante il passare degli anni, è ancora visibile in un frammento nostalgico del mio passato. In me il suo ricordo vive silenzioso, per poi richiamare la mia attenzione di tanto in tanto. Da bambina, il mio piacere nel giocare risiedeva nel semplice atto di fare, a volte senza alcuna necessità di risultati definitivi o di uno scopo prestabilito. I palloncini, dietro la loro apparente semplicità, trascinano i miei pensieri in quella incantevole leggerezza con cui sembrano sfidare le leggi della gravità, lasciandosi invidiare. Possono poi farmi sorridere, quando scoppiano improvvisamente, quasi volessero fare un dispetto o spaventarmi.
CONCEPTUAL DICHOTOMY
A dialogue between me and the other me, two distinct personalities confiding in each other with irony and complicity. I invite the viewer to imagine the next moment, to sense a conversation. Like peering beyond a curtain that never fully opens, movements and whispers can be felt. The two Ericas represent two distinct ways of moving toward an event: two parallel entities in action, striving for the same purpose. The observer is no longer just a spectator but is called to continue the narrative, to envision what comes next.
On the delicate balance of a relationship, between respect for one’s partner and personal freedom, I took on his challenge. To show him who I truly am. This led to an unexpected performance, staged outside the home. The destination: a store. A challenge accepted. A gamble with his jealousy. A meticulously crafted performance, carried out and brought to completion with a singular goal: dismantling his sense of ease. He cares about me, and I struck precisely where he is most vulnerable. He is a blank canvas, waiting for the arrival of my forbidden hues. Like an unpredictable abstract artist spinning out of control, I heightened the act of revealing myself with bold contrasts in textiles and cosmetics before heading out alone to a space where even something as mundane as picking up a receipt could be fraught with ambiguity, and exchanging a glance might be considered a risky concession. Upon entering, the man at the store appeared surprised. Then, he observed, offered advice, and spoke, his words cascading over me in a tone of engaged, deliberate charm. The space around me felt like a stage, set for presenting my partner with the steep price of my audacity. When I returned home, I delivered the final blow. He and I are a constant performance. We are both spectators and protagonists to one another. We are canvas and paint. I orchestrated a performance of deliberate defiance, played out on the taut strings of his tension. And the fire it lit within him burned for days, serving as the dramatic backdrop to the affront.